martedì 3 agosto 2021

Distruggere e distruggersi. Dubbio e consapevolezza che non cambierà per magia


Pubblico oggi qui un articolo scritto da una mia collega... pubblicato sul ns sito nazionale che ha pensato di dare spazio alla " voce" di chi fa il mio lavoro...con tanta fatica e tanto coraggio...
Un lavoro a volte fatto di dolore e fatica, scoraggiamento e impotenza
Lavorare con le pz in carcere donne è faticoso e difficile...oggi mi tocca... e leggere questo articolo mi ha dato coraggio... 



 Sono rimasta qui sui gradini, a metà tra l’ufficio dove avremmo dovuto parlarci e il cancello dal quale sei uscita, urlando “per colpa tua adesso devo andare a far marchette, hai capito?! A far marchette, vado!”.

Per colpa tua. Per colpa mia, della collega con cui stavamo parlando, di chi ti ha fatto del male, della vita, del mondo, di chi? Mi sento sospesa. A metà. Tra il dentro (lo stabile dove vivi, dove avremmo dovuto incontrarci oggi) e il fuori (fuori dal cancello, in strada, sul marciapiedi dove ora sei tu).

Tra il dubbio di aver sbagliato tutto con te e la consapevolezza che ci sia poco da sbagliare perché ormai la tua vita ha preso quella piega e non sarò certo io a poterla cambiare, così, come per magia. Tra la rabbia che suscita la tua enorme capacità di indisporre e farti odiare tutta, senza alcuna speranza di essere risparmiata (forse non lo vuoi, essere risparmiata: vuoi solo farti del male, richiamare il male, avere conferma del male), e la pena profonda che tutto di te mi fa provare (una pena che non è pietà, ma è una strana sorta di vicinanza, di intuizione, di comprensione di quanto devi aver sofferto per essere così, una strana sorta di certezza che non sei solo così). Tra il rimorso di averti lasciata andare per l’ennesima volta in quel fuori in cui venderai te stessa, e quindi la mezza vaga idea di inseguirti (idea assurda o forse così assurda che vale la pena ascoltarla?), e il bisogno di difendermi, di non lasciarmi trascinare da te, e perciò di lasciarti alle tue scenate e ai tuoi colpi di testa, là fuori dove sei stata mille e mille volte (non per colpa mia, ma in fondo – lo so – neppure per colpa tua).

Torno indietro sulle scale, annuendo mentre la collega assicura: “Tornerà. Le passa. Con lei è così.”

Tornerai? Può darsi. Non hai tante alternative. Ma forse starai ancora peggio, quel poco peggio di prima sufficiente a perpetuare quel male che non ti abbandona. Perché non avrai fatto altro che aggiungere umiliazione alla continua umiliazione di te stessa. E non ti passerà, non fino in fondo.

Perché quello che hai, quello che sei diventata, non è un male passeggero che ti prende e poi se ne va senza lasciare traccia. È l’esperienza di una progressiva, irrefrenabile, distruzione del bello che c’è dentro, del bello che ci può essere fuori, che porta solo verso lo schifo. Quanto schifo hai conosciuto? Quanto? Forse non lo sai neanche tu, perché chiamare per nome tutti quegli aspetti importanti di una qualsiasi esistenza e poi abbinarli allo schifo deve essere un dolore troppo forte, che è meglio assopire nell’oblio e lasciar scorrere in fiumi sotterranei, nascosti, non nominabili.

Forse ti fai schifo anche tu, per come ti sei lasciata trasformare, per quello che hai fatto. E credi di fare schifo a tutti noi… mi sembra di sentirti: “Meglio! Così non mi rompete le palle. Mi state alla larga.”

Mah, a me schifo non lo fai. Non tu. Tante delle azioni che ho sentito e memorizzato nel conoscere un po’ della tua storia, agite o subite che siano state, mi fanno schifo, quelle sì, perché mi toccano, mi inquietano, muovono qualcosa in me che è al confine della razionalità, perché mi permettono di immaginarmi di vestire i tuoi panni e di capire quanto male ci si può stare, in quegli abiti sporcati di tutto. Ma tu no: di te vedo solo una povera creatura consumata da tutto lo schifo che l’ha toccata e travolta.

E.G Veneto 

Buongiorno Mondo...e grazie E.G

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